BRUNA SPAGNUOLO

CINA

© by Bruna Spagnuolo

Il mio approccio al viaggio ha a che vedere con il mio scrivere: cerca, scova e canta il bello che si fa speranza. Il modo di 'raccontare' la Cina, in questa pagina, è... soltanto 'mio'. Il contenuto è ciò che di geografico potrebbe svolgersi in un salotto letterario (il mio). Ogni pagina è l'equivalente di una mia poesia (allargata all'iconografia).

LA GRANDE CINA

(la 'mia' / 1991)

"Ho visto l'uomo in Cina / lottare senza cedere / e non conoscere resa. / La montagna è enorme: l'uomo l'ha tagliata. / Il baratro è profondo: / l'uomo l'ha oltrepassato. / Il sasso è assente: / l'uomo l'ha sostituito. / La natura è avara: / l'uomo l'ha circuita. / La morte è in agguato: / l'uomo si è moltiplicato./ Ho visto l'uomo in Cina / rubare alla terra i tesori. / Ho visto l'uomo in Cina / tessere preistorie e ricamare bandiere." (da Linfa guerriera di Bruna Spagnuolo)

Migliaia e migliaia sono le immagini fotografate nel mondo e milioni le immagini che abitano il mio cuore, ma finito e limitato è il numero di quelle che possono comparire in questa sede

Nel 'Ganzu', il paesaggio è lunare, la vegetazione è assente (fatta eccezione per qalche raro albero infreddolito). Lo sguardo cerca invano le formazioni silicee e/o calcaree, le scisti, la selce in senso lato. Non ci sono macigni né ciottoli e si ha l'impressione di essere atterrati su qualche pianeta sconosciuto. Le alture notevoli sono grandi dune addormentate, che fanno da grembo alle nevicate perenni della sabbia sottile proveniente dal deserto del Gobi. Ci sono case che di quella sabbia hanno il colore e la consistenza e che sembrano tagliate dalla scimitarra affilata di qualche costruttore-artista- disegnatore. Il paesaggio ha linee dolci e arrotondate e un'atmosfera quasi sensuale. L'uomo terrazza e coltiva i fazzoletti più incredibili e sospesi di quella terra-sabbia dall'aspetto inospitale, cava da essi riquadri verde smeraldo che toccano il cuore e fanno venire in mente che quel piccolo-grande uomo ha la capacità di "fare le pietre pani" (come usavano dire gli antichi Calabresi). In quei luoghi, l'essere umano sconfigge la furia degli elementi, sopravvive alle temperature invernali, che arrivano a trenta gradi sottozero, e conserva le strategie della saggezza popolare, che lo aiutano a restare sano e forte. Saggia e ben fondata è, in quei luoghi, per esempio, l'usanza di mangiare moltissimo aglio , crudo al mattino, cotto e persino tostato nelle varie ore del resto della giornata. I 'forestieri' che si trovano a prendere gli aerei locali nelle prime ore del mattino, insieme all'intenso odore di aglio che respirano tra i passeggeri, percepiscono la sensazione di trovarsi al cospetto di una progenie fuori del comune. Quella progenie è, infatti, tanto straordinaria da domare avversità e intemperie e calvalcarle con umiltà testarda e tenacia stoica. Con scarpette di pezza e vari strati di indumenti poveri, a trenta gradi sotto zero, le genti di quei luoghi s'inventano la vita quotidiana, senza mai interrompere il moto perpetuo che li porta a muoversi da un luogo all'altro, da un'occupazione all'altra, da un bisogno all'altro, tessendo le trame infinite dei tragitti del singolo e delle moltitudini a piedi, in bicicletta o sui 'pa-pa-pa' (i motorini, con rimorchio-multiuso annesso, che emettono il rumore assordante come veri e propri scoppi: pa-pa-pa). Le stagioni sono il rosario su cui si snoda la preghiera-vita di questi abitanti coraggiosi, privi di tutto tranne della determinazione e dell'intraprendenza (quando le loro messi sono mature, le raccolgono, le spargono sull'asfalto e trasformano gl'inconsapevoli mezzi di passaggio in buoi trebbbiatori//le strade, allora, si fanno aie sulle quali mani alacri ventilano il grano, affidandolo al vento perché separi la paglia dai pesanti chicchi preziosi come oro).

"Tongyuang: Muri di fango, case, tepori di vita si annidano / tra montagne-duna rotonde, giganti, stratificate, ondulate. /Dolci orizzonti di cieli sovrastano / campi-tenerezza scolpiti da mani screpolate. / Verdi germogli sbalordiscono secchi deserti, /dove le liquide trasparenze si fanno attesa respirante. / Le cime sinuose, sensuali, imponenti ospitano pasture sorprendenti./ I giovani alberi, come bambini impauriti, sfidano le tramontane taglienti. / I bacini ormai quasi vuoti sognano le piene, per continuare / a modellare la terra, che sembra aver perso la vita / nelle gelate penetranti degl'inverni inclementi. / Caparbia, la speranza ruba terrazze fertili agli argini sconfitti. / Forte, la vita, in dimensioni assenti, scoppia improvvisa, da polvere di vento, e il ramo contorto sfoggia meraviglie. / Vive la terra e brulica di moto fin nelle sue viscere profonde. / Moderni Marco Polo, chiamati da dissepolti sigilli senza tempo, / scavano solidarietà senza confini, per bandiere di mani universali / e cuciono orizzonti per la conoscenza." (Da Linfa Guerriera)

"Verso Xining: I calanchi della montagna erosa dal tempo / attendono immemori le presenze andate. / Come occhi spalancati, le caverne guardano / le assenze ricomparse sul fiume risvegliato. /Nello splendore del giorno, i cercatori d'oro / intrecciano misteri. / Materne mani sarchiano miracoli neonati / con abbracci indimenticabili di sole. / Sfida la vita ogni giorno la morte e sull'asfalto ignaro / l' innocenza paga prezzi di sangue non dovuto. / La brezza si ritrae dalla terra tagliata /delle sapienti fortezze di sabbia stratificata. / Il grande fiume presta il suo letto all'uomo / e disegna valli a sorpresa di anfiteatri di creste e suggestioni di cieli./ L'umanità ha palpebre fuggenti e bagliori bambini, mentre semina linfe e raccoglie sudori in appezzamenti-piscina. / I limitari affollati di verde affastellato cantano i passi tenaci di un popolo in cammino." (Da Linfa Guerriera)

 

"Xining: Varia il paesaggio, si fa familiare. Si apre la valle verso strade-pianura accidentate. Fiorisce l'abitato, ove il prima della storia ha scritto attraverso l'uomo nomade-raccoglitore-coltivatore e i suoi insediamenti accanto ad acque correnti. Sale la strada verso alture e regressi di fioriture ritardate. Ci sono alberi spogli a fine aprile in Xenin. La primavera tarda ad arrivare. I grandi nidi di corvi sembrano fiori scuri tra i nudi rami protesi. I tronchi lineari e sottili corrono come matite ai lati in rilievo di una geometria di campi sfumati di verde leggero. Sale ancora la strada verso tronchi tinti di argille. La buona rossa creta si fa covone prezioso di mattoni incartati in morbide stuoie. Le cime si variegano di scenario muschiato, guidando la mente alla solennità del Lamasery e dei suoi mistici abitanti vestiti di pieghe marroni e porporine." (da Linfa Guerriera)

Lungo questo tragitto, che porta ai templi, incontriamo bancarelle sulle quali intravedo gioielli autentici (per materiali e per vetustà). Penso di fermarmi al ritorno. Per ora, non voglio dedicare attenzione a null'altro che alla bellezza assoluta del luogo.

L'arrivo al lamasery (una serie di templi buddisti, magnifici e raggruppati nella stessa area) è come la conquista ardua di un nobile fine. Fa sentire il bisogno di fare un gesto memorabile (come infiggere da qualche parte una bandiera con delle scritte -talismano da affidare alle dita leggere del vento e agli occhi dei divini abitatori dei templi cui nulla mai sfugge delle creature né del creato...). L'aria è rarefatta; a chi non è abituato ad altitudini elevate dà capogiri e senso di malessere generale.

La pietra preziosa abbonda qui, dove il divino ha molte dimore. Forma la base solida e pregiata dell'edilizia nuova e dà fondamenta all'arte antica delle pagode più belle del mondo. La civiltà mongola fa capolino a vari livelli nelle identità etniche di questa fetta di storia.
Sbalordisce la selce che si fa scultura-gioiello o tassello-mosaico, accanto ai materiali lignei delle pagode antiche intarsiate e dipinte come miniature di indicibile valore.
I tetti sono l'apoteosi della bellezza architettonica di queste costruzioni-gioiello uniche e rare.
L'interno dei templi è zeppo di arazzi preziosi e di dipinti dal valore inestimabile. Ogni tempio è una sorta di banca nella quale nessuno fa l'inventario delle molte ricchezze. Il divino vi aleggia insieme all'odore di burro di yak. Gli altari di Budda hanno balaustre lignee, ad altezza di gente inginocchiata, sul pavimento, e sono unte del burro benedetto che abbonda nelle bacinelle davanti al Dio (la gente porta da casa le nuove provviste e le deposita sugli altari e preleva piccole quantità di quello benedetto da portare in seno alle famiglie). Simbolo di ricchezza e di benessere, il burro di yak è come una benedizione. La gente ne fa molti usi e se lo spalma anche sulla pelle. I Monaci si avvolgono tutto il corpo nei tessuti e lasciano nudi una spalla e un braccio da usare in tutta libertà, ma vi spalmano sopra il burro provvidenziale, che li isola dal freddo e ne attenua il morso invernale.
L'odore rancido del burro di yak fluttua nell'aria, dentro e fuori i magnifici templi. In una di queste incredibili chiese buddiste, dipinte e raffinate fin negli angoli più nascosti, un'intera stanza contiene sculture incredibili (foto in alto a dx) e inimmaginabili realizzate in burro di yak. Abbiamo rubato una foto ricordo di un solo angolo di tale meraviglia, scattandola, a caso, dalla macchina fotografica che penzolava sul petto, contravvenendo a un severo divieto (ma non mi pento di aver portato con me questo piccolo aiuto per la memoria).

 

Dietro la bellezza e la funzionalità di tutto il lamasery , si nasconde la vita delle comunità di monaci che, come api operose, sovrintendono a tutto e ad ogni cosa, non risparmiandosi nessuno dei lavori, a partire da quelli più umili e pesanti, come fare il bucato, con acqua fredda, all'aperto, in pieno inverno, e trasportare l'acqua da lontano, nei secchi appesi a un bilanciere sulle spalle.
Nei momenti di "riposo", i monaci si dedicano a lavori leggeri (come -vedi foto- lucidare le ciotoline di ottone). I più giovani, dietro il muro, imbrigliano la loro baldanza giovanile, stremandosi con esercizi ginnici sconosciuti al mondo occidentale: tenendo tra le mani due manopole-appoggio di legno, siedono sulle gambe ripiegate e, arcuandosi, si stendono sul pavimento, scivolando sulle manopole, fino a trovarsi supini; ripetono il movimento, a lungo, come un mantra gestuale.

Immersa in tanta bellezza, io cerco d'ignorare il mal di testa eil forte senso di nausea dovuto all'altitudine (e aggravato dall'odore rancido e onnipresente del burro di yak); quando penso di alleviarlo, cerco i bagni pubblici (ed è un errore irreparabile per il mio stomaco). Salgo una scala e seguo le indicazioni ricevute dal monaco di passaggio. A sinistra li trovo. Sono vari buchi in un pavimento rialzato (tipo palafitta), divisi da muretti ad altezza di uomo accovacciato. Dei vari occupanti si possono vedere le teste. I loro escrementi cadono direttamente sul terreno sottostante, all'aperto, dove sono raggiungibili da eventuali animali (magnifica soluzione dal punto di vista ecologico). Giungo soltanto fino all'ingresso e torno precipitosamente sui miei passi: l'idea di una latrina collettiva non è esattamente quella che avevo in mente, anche perché vorrei lavarmi le mani e rinfrescarmi il viso. L'odore nauseanbondo è forte e insopportabile ed è il colpo di grazia per la mia nausea già accentuata...

 

Leggermente più a valle, troviamo una specie di albergo-ristoro per pellegrini (e un bagno), poi siamo pronti al viaggio di ritorno.

*Da destra verso sinistra, faccio girare tutte le ruote della preghiera e immagino che nella danza silenziosa e gentile di quei cilindri simbolici siano compresi i moti più segreti del mio cuore, le aspettative più alte e più nobili del creato, il grido silenzioso di ogni filo d'erba e di ogni creatura, la preghiera e le lodi di ogni aurora e di ogni terra-mare-cielo, l'anelito alla vita dell'umanità intera e l'invocazione inascoltata di ogni indifesa forma di vita o pensiero...*

Prima di andarmene, però, devo ancora compiere il gesto memorabile che ha condotto i miei passi fin qui... E il tempio delle ruote mi regala quel gesto importante, indimenticabile e catartico che, forse, aleggerà per sempre in quel luogo lontano...

Ogni ruota è depositaria di ideogrammi-preghiera e di desideri votivi. Nel cuore umano, i desideri votivi sono un unico crogiuolo da indirizzare al cielo, come un florilegio immediato e istintivo. Sulle labbra emotive essi non trovano parole-frecce che possano volare come un raggio di luce. Le ruote della preghiera girano e, una alla volta, come anelli di una catena, afferrano i desideri del cuore, li uniscono alle intenzioni dipinte da secoli e, in un unico movimento senza tentennamenti, li lanciano verso il cielo proprio come raggi di sole...

Non hanno spigoli le ruote/ non offrono angoli-appiglio alle imperfezioni-forze negative che possano disturbare gli equilibri ing-yang dell'universo. Fatte di circonferene dalle linee morbide e arrendevoli, come l'essenza dell'amore infinito, si fanno interspazi multiformi/mutlirespiro per ogni pensiero dal bene nato e verso il bene teso... Ad esse le ansie votive si avvolgono (ma non per restarvi...). Come ali di farfalla vi volteggiano e poi danzano i voli designati del viaggio verso ubiquità divine oceaniche e buone...

Scendendo dall'altura e ritrovando il benessere fisico, ricordo di aver completamente trascurato le bancarelle e mi dico che sia un peccato che io non abbia trovato la forza di comprare dei sovenir-meraviglia, ma nell'inconscio provo una sensazione che è come un'assoluzione liberatoria. Ho sempre disapprovato il mercanteggiare veri e propri tesori e condannato "i turisti" come trafugatori di pezzi di identità di popoli lontani. Sono felice di andarmene portando con me soltanto i talismani che possono abitare il mio cuore.

 

PECHINO

(in cinese Pei-ching/in tutti gli aeroporti internazionali BEIJING)

Capitale delle Cina e capoluogo della municipalità omonima, nella regione del Nord, tra i fiumi Yung-Ting e Pai/ Centro delle stato feudale di Yen (dall'VIII al V secolo a. C.), Pechino (allora CHI) fu distrutta nel 226 a. C. Risorse come YEN nel 70 d.C. e, nel periodo TANG, cambiò di nuovo nome (You-Chow). Fu poi chiamata Nan-Ching dai Katai, che la invasero e ne fecero la loro capitale Sud. Gli Jurcen, nel 1153, la chiamarono Chung-tu (capitale del centro). Gengis Khān la distrusse (nel 1215) e la ricostruì (una decina d'anni dopo) chiamandola Khānbālīk (la città del khān). Fu questa la città (Cambaluc) di cui Marco Polo narrò meraviglie. Cessato il dominio mongolo (con l'avvento della dinastia MING sulla Cina -XIV secolo), la città si chiamò Pei-Ping (pace del nord) e poi (nel 1421) Pei-Ching (capitale del Nord). L'insediamento successivo della dinastia mancese mantenne Pechino come capitale dell'impero e lo stesso fece l'occupazione temporanea anglo-francese (1860), che vi stabilì una guarnigione internazionale permanente (a guardia del quartiere privilegiato delle ambascerie straniere), dopo la rivolta dei Boxers (1900). Nanchino divenne capitale (nel 1927) e Pei-Ching tornò a chiamarsi Pei-Ping. Occupata dai Giapponesi (dal 1937 al 1945), tornò nelle mani dei nazionalisti del Kuo-min tang e (nel 1949) in quelle dell'esercito popolare di liberazione. Il nuovo governo comunista ridiede alla città il nome Pei-ching e la nominò capitale della Repubblica popolare di Cina. La parte antica della città è costituita da quadrati; in essi si trovano (a Nord) la città tartara o interna (al centro della quale, circondata da mura, rifulge la Città Purpurea o Proibita -antica dimora dell'imperatore e della sua corte)/(a Sud) la Città Esterna o Cinese (in cui sorgono i quartieri delle delegazioni e quelli commerciali). Subito fuori dalla città tartara, i templi della Terra, della Luna e del Sole, erano il completamento-meraviglia della città antica e sono ancora oggi motivo di orgoglio e di ammirazione internazionale. Nel bel mezzo della Città Cinese, il tempio del Cielo richiama schiere infinite di visitatori, per la bellezza indescrivibile delle sua natura architettonica. Il Palazzo d'Estate (costruito dall'imperatrice Tzü-Hsi nelle periferie della città) è dotato di un parco magnifico, ricco di verde e di acque (che gli fanno da "corredo" provvidenziale e lo proteggono dagli ampliamenti galoppanti di questa metropoli ricca di commercio-storia-musei-università.

 

 

Questa città è la capitale della Cina, è vero, ma è anche e soprattutto la sintesi dell'anima della Cina stessa. In essa, il vecchio e il nuovo si tengono per mano, benché il nuovo avanzi con prepotenza e senza troppi riguardi. Basta guardare queste due immagini. Bella da togliere il fiato, la città vecchia rimane impassibile e osserva, silente e sorniona, ergendosi a simbolo (e a monito-ambasciatore di bellezza e di storia)...

Beijing è una metropoli composita e sciamante, un luogo affollatissimo fatto di realtà variegate. Le sue vie principali sono quasi sempre invase da maree di biciclette (con targa) in movimento. I suoi centri commerciali traboccano di ricami e di oggetti di valore. I suoi mercati all'aperto sono paradisi della seta. I suoi giardini sono palestre libere in cui grandi e piccini fanno moto ginnico nel sole e i nonni insegnano il thai-chi ai nipotini . La sua aria, i suoi spazi e i suoi abitanti meriterebbero di essere affrancati dall'opzione ammorbante dell'inquinamento.

 

PIAZZA T' IEN-AN-MEN

Posare i piedi su questa piazza, intrisa, non molto tempo fa, del sangue di cinquemila studenti schiacciati da mezzi cingolati o inseguiti e trucidati nelle case, è sentir salire un brivido incontenibile dai piedi fino al cuore. Qualcuno mi dice che quel bagno di sangue è stato necessario, per far sì che la nazione non piombi nell'anarchia e nel marasma generale, ma la mia mente grida il suo orrore e il mio cuore duole al pensiero di quello spreco di giovinezza, di speranza e di cultura...

In questa piazza, lo spazio è come un personaggio da accogliere, festeggiare, conquistare, fare proprio, godere, nella celebrazione di una sorta di rituale secolare grazie al quale la gente si adatta a spazi piccoli per la vita familiare e ha bisogno di spazi grandi per la vita sociale. Negli spazi esterni, il singolo cessa di essere tale, perché incontra i suoi simili, forma la folla, se ne lascia conglobare, confortare, cullare, in un abbraccio insostituibile, che è come una placenta. Piazza T'ien-an-men è, per antonomasia, lo spazio in cui il singolo cessa di sentirsi solo, respira gli umori della società e della nazione e si abbandona alle atmosfere collettive. Lo spazio di questa piazza sembra orientato verso l'infinito e, invece, inizia e termina davanti alla città proibita, il cuore pulsante della storia cinese e del 'bello' architettonico metropolitano...

La Città Proibita

"Triste è la musica delle antiche mura./ Le incisioni mirabili non attendono più passi regali./ Passa il popolano e non s'inchina,/ ignora l'impudenza e la sua fine./ Il popolo non ha più un imperatore/ ma al passato tributa decime e onori,/ perpetuando un sodalizio di splendore./ L'imperatore peserà sul suo popolo fino alla fine dei tempi/ e come un tempo provvederà ai suoi figli/ con la sua presenza toccante tra i nuovi viandanti.../ Non ci sono vincitori né vinti:/ l'imperatore e il suo popolo saranno uniti per sempre." (da Linfa Guerriera)

La bellezza di ponticelli e balaustre bianchi degli ingressi alla Città Proibita è straordinaria e ricorda la raffinatezza die merletti. Il passaggio centrale (foto dx) posto tra due scale laterali è ancora oggi una pagina in pietra zeppa di scritte secolari. Gl'ideogrammi di questa 'passatoia' antica, scolpiti nella selce, non erano destinati a piede umano. Soltanto l'imperatore passava su di essi, nella portantina imperiale (sorretta da coloro che calpestavano soltanto i gradini laterali).

 

Nei cortili interni di questo luogo incantevole, statue bellissime proclamano ancora al mondo la simbologia legata alla regalità imperiale (dell'imperatore e/o dell'imperatrice). Vi troneggia la leggendaria fenice (ritenuta immortale e capace di rinascere dalle sue stesse ceneri ogni 500 anni), preziosa e pesantissima in una lega dalla linea slanciata. Vi dimora, imperturbabile, longeva, saggia, distaccata e intangibile la tartaruga, enorme e pregiatissima nella sua plasticità quasi viva.

 

Anche i cortili interni (che ospitano veri musei: storico-delle antichità-delle ceramiche e delle porcellane) sono impreziositi dal gioco delle balaustre-merletto e dai colonnati spalancati, come occhi attenti ancora pronti a vigilare su un passato leggendario difficile da dimenticare...

I leoni, con la loro simbologia (legata al potere-potenza dell'imperatore) che fa presupporre ruggiti da una posizione di allerta composta (seppur pronta allo scatto eventuale), compaiono nel giardino, là dove giovani alberi (che rappresentavano la vita dei neonati imperiali) venivano messi a dimora. Forse, il loro compito era di vegliare sulla vita vegetale legata a quella umana (dei nati imperiali).

 

 

Gli alter ego vegetali degl'imperatori sono oggi alberi-monumento che, nelle contorsioni levigate dalle intemperie, esprimono un epos storico fatto di pathos universale.

Le belve gigantesche raffigurate nelle statue messe a guardia degl'ingressi hanno una funzione diversa da quella degli animali raffigurati nelle statue conservate all'interno della cittadella imperiale. Basta guardarle per percepirne la simbologia . Il leone-canide ha bardatura imperiale, consistenza aurea, aspetto feroce e possente, espressione determinata e diretta, artigli spaventosi capaci di afferrare e tenere saldamente qualsiasi oggetto e/o preda . Nella zampa regge, a seconda del punto strategico in cui è stato piazzato, i simboli del potere spicciolo e del potere assoluto volto al popolo vicino, ai popoli ai quali il giogo imperiale è stato già esteso e a quelli cui esso sarà diretto in futuro. La possanza, l'opulenza, la maestosità, la pericolosità e la terrificante compostezza di queste raffigurazioni era diretta chiaramente ai visitatori illustri (possibili contendenti-tramatori), ma finiva per ricadere sul popolino vicino, attraverso le cui testimonianze la leggendarietà della dimora e del potere imperiale raggiungeva "i quattro angoli della terra".

Molte sono le cose che si possono visitare, in Cina. Io riporto qui quelle che nidificano nel mio cuore. Tra le cose più belle, conservo negli occhi i peschi in fiore. Basta uscire da Beijing, per trovarne (in primavera) intere distese simili a spose dai grandi veli rosa. Nelle campagne ad ampio respiro, che circondano le tombe dei Ming, i pescheti ordinati e ben curati sono una cornice fiabesca.

Da Linfa Guerriera: "Le nuvole rosa dei/ pescheti in fiore/ hanno spalancato alveari./ I sorrisi hanno cancellato/ l'orrore indelebile-pensante/ da lastricati ancora/ calpestati./ La Grande Cina si allaccia/ i calzari/ e dinuovo riprende/ il cammino..."

Nella visita alle tombe dei Ming è inclusa solitamente anche la visita alla lavorazione dei vasi e degli oggetti cloisonné, gli splendori in porcellana e metallo che hanno a che fare più con l'arte orafa che con quella ceramica. La pazienza infinita e creativa con cui persone di tutte le età progettano e realizzano la gloria di tali lavori, attraverso passaggi infiniti e lunghe ed estenuanti sedute senza risparmio di ore e di giorni, è commovente. L'essenza di questa verità è contenuta nella sintesi che fa dire a un'ottantenne signora americana: "My God, I did not know I was buying somebody's life, when buying those beautiful objects!" Quella signora entra nel mio cuore, per quella frase e per l'ansia di conoscenza e di bellezza (nonché per gli occhi ingenui e infantili con cui abbraccia il mondo e i suoi abitanti). Non si risparmia neppure le lunghe, ripide e tortuose scale delle tombe e la sento mormorare al marito, che la tiene per mano: "I want to go and see, though I could die and leave my spirit among the Ming tombs..."

La foto qua sopra non ha nulla a che vedere con il cloisonné (dovrebbe comparire tra le foto dei magnifici templi più sopra riportati- accanto ai quali è stata fotografata-, ma ha dei muri così belli che io li associo alla lavorazione cloisonné).

 

Le tombe dei MING

 

La dinastia MING (1368-1644) ha allestito in vita la cittadella che avrebbe accolto la sua stirpe imperiale dopo la morte, predisponendo un luogo pieno di fascino e di suggestioni per i vivi. Vi si accede attraverso un 'portale'-pagoda che ricorda un arco di trionfo, che non è il solo sul tragitto che porta alle tombe. Il viale interno è 'abitato' da statue di animali giganteschi, che paiono attendere l'imperatore e il suo seguito con paziente tenacia. Dal lontano al vicino, rispetto alle tombe, la domesticità degli animali diminuisce. Ciò fa presupporre che essi abbiano anche funzione di simboli esorcizzanti e protettivi e che si pongano come 'guardiani' delle perpetue dimore imperiali. Le tombe vere e proprie sono una sorpresa nella sorpresa, poiché non sono visibili (sorgono sotto la superficie del terreno); ad esse si accede per mezzo di scale. Scendendo, ci si rende conto che, nel sottosuolo, esiste una sorta di 'condominio' a molti piani, tra i quali sono suddivise le tredici tombe di pietra della dinastia MING. La solidità impressionante di quell'opera incredibile dice cose inimmaginabili sulla perizia ingegneristica e matematica di quel popolo.

LA GRANDE MURAGLIA

"Mi ha parlato la storia/mi ha schiaffeggiato il vento dell'immortalità./.../Calpesta il sasso l'uomo e dice: 'Mi appartiene'./ Attende il sasso e l'uomo gli appartiene./ Sopraggiunge l'oblio del sentire/ e il pensiero vola con il tempo/ oltre il soffrire./ Soffia il vento. /È lo stesso che soffiava./ Soffierà nelle ere da venire. / Non è che il pensiero, forse,/ della saggezza passata / disattesa..." (da Linfa Guerriera- di B. S.)

 

La Grande Muraglia era una forificazione originariamente lunga 6000 km (e munita di 15000 torri di guardia e di 25000 castelli capaci di alloggiare ciascuno 100 soldati), larga da 5 a 10 m., comodamente percorribile sulla sommità-strada. Fu un'opera ciclopica pensata, progettata e voluta da un imperatore della dinastia Ch'in (Shih Huang-ti ). Egli volle che un muro insormontabile delimitasse i confini della Cina e fosse uno spartiacque sul quale si potesse infrangere qualsiasi tentativo di invasione. Tale desiderio-decisione la dice lunga sullo stato d'animo di quel condottiero-guerriero stanco di vedere il suo esercito decimato e il suo impero minacciato (con tutta la sua ricchezza di luoghi e di affetti senza prezzo) e deciso a porre fine una volta per tutte alle invasioni-angherie-ruberie-stragi continue. L'imponente muraglia ( che parte dalla costa, a NE di Tientsin, passa a Nord di Pechino, taglia lo Huang ho, si dirige a SO fino a Ching pien e segue il margine Sud del deserto del Gobi) fu iniziata nel III secolo a.C. e restaurata (tra il XIV e il XVII secolo) dai Ming. La Repubblica popolare cinese, ha eseguito , nei giorni nostri, un restauro magnifico (ed effettua una manutenzione che non conosce riposo).

Cina dell'amicizia e dei doni...

Ho già ricevuto pacchetti belli da vedere (nel Ganzu- là dove l'altitudine dialoga con il cielo) e li ho stivati (con molta commozione), tra le sete e i ricami, nelle mie valigie. La signora Deng, a Pechino, è l'ultima Cinese che saluto, quando lascio la Cina. Mi dona il suo distintivo universitario (che appunto subito sulla mia giacca), un attimo prima di entrare in macchina per recarmi all'aeroporto. Il gesto è eloquente: questa signora mi dona il simbolo di una parte notevole e importante della sua vita... Ne sono così toccata che dimentico ogni altra cosa (compreso un ingombrante e leggero bagaglio contenente un numero notevole di cappelli vecchi e nuovi, a me cari- Poco male: qualsiasi bagaglio non è che un accessorio temporaneo/ i tesori-ricordi che si portano nel cuore sono per sempre....).

P.S-*Una volta, portai un orologio-ciondolo a riparare, in Cina. Aveva la forma di una coccinella. Lo avevo comprato in Svizzera. Sarà stato un caso, ma, dopo qualche settimana, le vetrine della via in cui lo avevo portato erano piene di coccinelle meno perfette, ma molto simili al mio ciondolo. Pensando a questo e sentendo parlare della capacità dei Cinesi di 'copiare' urbi et orbi, mi viene voglia di domandare: "Perchéeeee!?!. Mai popolo ha avuto identità più marcata, forte e gloriosa, perché copiare anime altre e non divulgare sempre e soltanto la propria?"

 

 

"Can't resolve yourself/ to open those too precious/ too heavy/ too tender/ too full/ too everything/ parcels wrapped in love/ and tears/ chapped hands/ blossoming trees/ desert landascapes/ dunes/ moonlit lovely scene/ history blowing winds/ touching monuments/ and moments/ unforgettable farewells/ and farewells.../ Much too much for your heart/ your mind/ your strength/ your world awaiting you and yet so far./ You know you'll miss this country and the/ hustling/ buzzing/ wistling/ mesmerizing/ murmur of the crowd."

(Non sai deciderti ad aprire quei troppo preziosi/ troppo pesanti/ troppo teneri/ troppo pieni/ pacchetti avvolti in amore e lacrime/ mani screpolate/ alberi in fiore/ paesaggi deserti/ dune/ scene belle di luna/ venti di storia/ monumenti toccanti/ e momenti-saluti indimenticabili / e addii./ Troppo per il tuo cuore/ per la tua mente/ per il tuo mondo in attesa di te/ eppure così lontano./ Sai che ti mancherà questo paese/ con il frusciante-mormorante-fischiante-calamitante/ mormorio della folla.) (Da Linfa Guerriera, di B.S.)

Foto di G.Ferrara- Testi di Bruna Spagnuolo. Copyright by Bruna Spagnuolo se vuoi scrivere a B.S., clicca qui